A cosa serve l’opacizzante nel detersivo? A rendere il prodotto bianco, con apparenza “cremosa lattiginosa”. Non ha alcun potere pulente, non evita gli aloni nei prodotti per superfici dure. Semplicemente fa si che il prodotto sia “opaco”: in sintesi, se osservo una bottiglia trasparente che lo contiene, non riesco a vederci attraverso.
Come sapete il problema dei rifiuti in plastica che inquinano i nostri mari è sotto gli occhi di tutti. Più subdolo è invece il problema delle microplastiche, e molti degli opacizzanti utilizzati in detergenza rientrano in questa categoria. Ma di cosa si tratta? Si tratta di frammenti di plastica più piccoli di un millimetro, fino a dimensioni dell’ordine del millesimo di millimetro, quindi invisibili a occhio nudo. Se sembra complesso pensare di ripulire gli oceani dalle plastiche galleggianti, progettare di eliminare dal mare le microplastiche sarebbe un’impresa impossibile, a meno di disporre di un sistema per filtrare (letteralmente) tutta l’acqua degli oceani.
Sulle etichette e schede di sicurezza dei prodotti di detergenza non leggerete “contiene microplastiche”, in quanto non sono direttamente un pericolo per la salute umana, ma “solo” per l’ambiente. Va però considerato che le microplastiche disperse negli oceani vengono mangiate dalla fauna marina, che ovviamente non è in grado di digerirle. Finiscono così anche nella nostra catena alimentare e non solo nel pesce, ma anche, ad esempio, nel sale, come riporta uno studio pubblicato sulla rivista internazionale Environmental Science & Technology, in collaborazione con Greenpeace (il 90% dei campioni di sale da cucina analizzati contenevano microplastiche).
Cosa possiamo fare quindi? Possiamo essere scrupolosi nel differenziare i rifiuti in plastica che produciamo, ma soprattutto dobbiamo agire sulle nostre abitudini riducendo al minimo il nostro consumo di plastica, per ridurre le possibilità che venga dispersa nell’ambiente. Quindi evviva differenziare, ma non dimentichiamo di riutilizzare e riciclare in modo che la plastica “circolante” sia sempre meno.
La plastica, infatti, non è stata pensata per essere degradabile o biodegradabile. Il suo uso quotidiano e l’abbandono in natura producono una lenta frantumazione che dà luogo, appunto, alle microplastiche.
Cosa sono, quindi, le microplastiche? Particelle di origine plastica, di piccole dimensioni, in particolare comprese tra il millimetro e il nanometro. Non potendo essere riassorbite in modo naturale dall’ambiente, tendono ad accumularsi, portando numerosi effetti sull’ecosistema.
Si stima che il 2-5% di tutta la plastica prodotta finisca in fiumi, mari e oceani. La quota definita come microplastica si accumula in pesci e crostacei e, soprattutto, contamina l’acqua. Si tratta di circa 8.000 tonnellate di materiale plastico all’anno, una parte delle quali è di dimensione inferiore al millimetro.
È facile intuire come partendo dalla materia prima ittica e dall’acqua stessa tutta la nostra catena alimentare risenta della presenza massiccia di microplastiche.
Alcuni dati dimostrano come nel 15% del cibo ingerito da un individuo siano presenti microplastiche, lasciando all’acqua del rubinetto e a quella confezionata il primato per la maggior concentrazione di microplastiche.
Ne sono state trovate tracce, però, anche nei più impensabili generi alimentari come birra, sale, zucchero, alcool e miele.
In alcuni cosmetici Si trovano indicate con la sigla PE in alcuni prodotti cosmetici per detergere o esfoliare come scrub, saponi, schiume da barba, gel e persino dentifrici. Sarebbero circa 3.000 particelle per millilitro di prodotto e dal momento che in tanti ne facciamo uso tutti i giorni l’impatto sull’ambiente non è trascurabile. Oggi una legge vieta l’utilizzo delle microplastiche all’interno di cosmetici e prodotti per l’igiene personale in moltissimi paesi dell’Unione Europea, in Inghilterra, in Canada e negli Stati Uniti. Alcune app aiutano a riconoscere i cosmetici che le contengono.
Bustine del tè I filtri per infusi in materiale plastico, sempre più presenti sul mercato, rilasciano miliardi di micro e nanoparticelle di plastica per ogni tazza di tè quando entrano a contatto con l’acqua bollente. Uno studio pubblicato su Environmental Science and Technology dai ricercatori della McGill University di Montreal, in Canada, denuncia numeri molto preoccupanti